Il Corriere della Sera - 22.09.2009.pdf

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Corriere
MARTEDÌ 22 SETTEMBRE 2009 ANNO 134 - N. 224
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Il nuovo cd della band
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Biografia
I Tokio Hotel: divisi mai
Corriere Moda: «A fior di pelle»
Tendenze, protagonisti, piaceri, consigli
Günter Grass
raccontato dai figli
«La nostra vita privata? Non esiste»
Un inserto di 56 pagine in omaggio con il quotidiano
Da richiedere all’edicolante
di Pierluigi Battista
apagina43
di Maurizio Pluda apagina51
Lacrime e applausi per i sei parà
La lettera
Stipendi e merito
L’accusa della Gelmini: da decine di scuole no al minuto di silenzio
P ROFESSIONISTA
IN C RISI
E QUEL 70%
ALLO S TATO
E NTI L OCALI
IL P REMIO
NON SI N EGA
A N ESSUNO
UN G ESTO S EMPLICE
E UNA C ATTIVA L EZIONE
Ultimo saluto a Roma per i sei
parà italiani uccisi in un attentato
a Kabul. Dolore e commozione: la
basilica di San Paolo fuori le Mura
gremita di militari e cittadini. In
prima fila il presidente Napolitano
e il premier Berlusconi.
di FRANCESCA PETULLÀ
di GIAN ANTONIO STELLA
sono un avvocato
romano, libero
professionista, super
specializzato. Dopo aver
letto l’inchiesta
del CorrierEconomia
sui professionisti
e l’articolo di Dario
Di Vico, ho deciso di
scriverle. Anche perché
avevo già inviato una
nota ai ministeri
dell’Economia e della
Funzione pubblica nella
quale chiarivo che la
ripresa del Paese la si fa
con le giovani teste
pensanti. Teste pensanti
che purtroppo non
portano voti per
nessuno schieramento
politico.
CONTINUA A PAGINA 37
farlo a lui, Renato
Brunetta, che proprio
l'altro giorno aveva
denunciato un tentato
golpe dei «poteri forti»
contro il governo. E a
tentarlo non sarebbe la
sinistra ma la stessa
maggioranza. Dove c'è chi
non apprezza il nodo della
riforma: premi ai più bravi
e zero ai fannulloni. E
vorrebbe una deroga per
tutti i dipendenti di
Regioni, Comuni, enti
locali, mondo sanitario.
Lui, il ministro che da
mesi tuona sulla necessità
di scuotere il pubblico
impiego introducendo
finalmente la meritocrazia,
sdrammatizza.
CONTINUA A PAGINA 27
di ALDO CAZZULLO
«I bambini sono troppo piccoli e
non capiscono». «La circolare è
arrivata in ritardo». «Senza
un’adeguata riflessione sarebbe
solo retorica». «Le missioni di pace si fanno
con i medici, non con i soldati…».
C’è sempre un motivo, tutt’altro che buono,
per evitare un gesto semplice ma
importante. Quasi tutte le scuole d’Italia ieri
mattina si sono fermate per un minuto di
silenzio, in memoria dei sei soldati caduti a
Kabul. Ma altri presidi si sono rifiutati di
accogliere la disposizione del ministro.
Quando la settimana scorsa Mariastella
Gelmini ha denunciato, in un’intervista al
Corriere , la persistenza di aree di militanza
politica nella scuola, si sono levate contro
di lei molte critiche. Ora appare chiaro che
il ministro non aveva torto; e bene ha fatto
a chiedere scusa alle famiglie dei caduti,
anche a nome di coloro che hanno negato
quel minimo segno di dolore e rispetto.
Resta l’amarezza per una scuola che (sia
pure con molte eccezioni) riesce a
trasformare anche un’occasione di unità
nazionale in un punto di divisione; e
soprattutto si ostina a leggere qualsiasi
vicenda attraverso le lenti della politica,
peggio ancora dell’ideologia.
Tra le varie giustificazioni, colpisce quella
della direttrice di una scuola romana: ogni
caduto sul lavoro, non soltanto i militari,
dovrebbe essere commemorato.
L’obiezione è sottile, perché incrocia
un’attitudine dell’opinione pubblica: mai
come questa volta l’Italia ha reagito al lutto
come un Paese normale, piuttosto che
come un Paese emotivo. Ma proprio questa
«normalità» implica che il rimpianto e la
gratitudine per i soldati, uccisi in una
missione di pace che conducevano in nome
e per conto di tutti noi, unisca anziché
dividere. Mentre quasi l’intero Paese si
fermava, mentre in qualche aula si faceva
come se nulla fosse accaduto, nella basilica
di San Paolo fuori le Mura i familiari si
congedavano dai loro cari senza strepiti,
senza invettive contro lo Stato e i suoi
rappresentanti, ma con un dolore
silenzioso. Quel dolore è stato — anche per
i bambini e i ragazzi rimasti, senza loro
colpa, seduti nei banchi — la migliore delle
lezioni; e anche i piccoli l’hanno capita
benissimo.
La missione. I sei feretri sono
stati accolti dall’invocazione: «Fol-
gore!». Bossi: «Li abbiamo manda-
ti noi e sono tornati morti». Un uo-
mo è salito sull’altare e davanti al
microfono ha urlato: «Pace subi-
to». Il comandante della missione
alleata: «Più truppe in Afghani-
stan o la guerra è perduta».
L’urlo nella folla: «Adesso ritirateli»
La polemica. Ed è polemica per-
ché, secondo l’accusa del ministro
Gelmini, in decine di scuole non è
stato fatto osservare il minuto di
silenzio per le vittime italiane.
DA PAGINA 2 A PAGINA 6
L. Cremonesi, Olimpio, L. Salvia,
Santucci, Valentino
di FABRIZIO RONCONE
la marcia funebre e i parà, per un momento, hanno cessato di gridare, come
fanno, «Folgore!». Poi una donna, voce forte: «Quanti morti ancora, eh?». E un
ragazzo, un paracadutista in congedo con il basco rosso e il giubbotto di jeans, grida:
«Fateli marcire i talebani, abbandonateli al loro destino». Qualche flebile applauso,
poi il consenso cresce... I nostri politici fingono di non sentire...
A PAGINA 3
La confessione (romanzata) dell’ex presidente
Richiamo di Bagnasco. «La Chiesa non si fa intimidire»
La Cei ai politici: sobrietà
Berlusconi vede Fini: patto di consultazione
Chi riceve un mandato
politico deve essere «con-
sapevole della misura e del-
la sobrietà, della disciplina
e dell’onore che esso com-
porta». Lo ha detto il cardi-
nale Angelo Bagnasco al
consiglio permanente del-
la Cei, dove ha affrontato
anche il caso Boffo: «È an-
cora vivo in noi un passag-
gio amaro che, in quanto
ingiustamente diretto a
una persona impegnata a
dar voce pubblica alla no-
stra comunità, ha finito
per colpire un po’ tutti
noi». Ma la Chiesa, ha ag-
giunto, «non può essere in-
timidita». Incontro tra Ber-
lusconi e Fini dopo il gelo
degli ultimi mesi: decisa la
nascita di «un patto di con-
sultazione permanente».
DA PAGINA 10 A PAGINA 13
Di Caro, Vecchi, Verderami
Giannelli
Giscard e la love story con lady D
di MASSIMO NAVA
Giscard d’Estaing e Diana, il presidente e la principessa. I due vissero un altolocato
amore? A 12 anni della morte, lady D continua a far parlare di sé. Tra gossip e giallo, l’ex
capo di Stato francese racconta, nel suo nuovo romanzo, di una relazione segreta, a metà
anni 80, con una principessa che viene puntualmente tradita dal marito.
A PAGINA 19
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Dopo l’«autoscontro» di Piquet, Maranello perse il titolo per un punto
La Ferrari e il Mondiale da riaprire
di DANIELE DALLERA
Con il volto coperto
La decisione del gip
Il falso incidente, il processo e ora
la radiazione. La «Stangata» della F1
va in scena a Singapore il 28 settem-
bre 2008. Al posto di Paul Newman e
Robert Redford, Flavio Briatore e Nel-
sinho Piquet. La Ferrari segue, e an-
nota: quel Gp e quel Mondiale poteva-
no andare diversamente. La classifica
allora disse: Hamilton campione, un
punto di vantaggio su Massa. Adesso
resta la domanda: senza quell’episo-
dio, il Mondiale come sarebbe finito?
ALLE PAGINE 56 E 57
Ravelli, Terruzzi, Vanetti
ARoma assalto
alla Croce Rossa
«No ai centri
degli immigrati»
Tarantini
ai domiciliari
Per la Procura
«una sconfitta»
di RINALDO FRIGNANI
di FIORENZA SARZANINI
A PAGINA 20
ALLE PAGINE 14 E 15
In migliaia a Roma per i funerali dei soldati. Bossi: li abbiamo mandati noi e sono tornati morti
C aro direttore,
I l «golpino» vorrebbero
«A desso ritirateli», urla qualcuno dopo che la banda musicale ha cessato
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2 Primo Piano
Martedì 22 Settembre 2009 Corriere della Sera
#
La strage I funerali
❜❜
Una strage tanto più assurda se si pensa ai compiti assolti dalla forza
internazionale e allo stile del contingente italiano Angelo Bagnasco, presidente Cei
«Nessuno è eroe da solo»
L’Italia si stringe
alle famiglie dei caduti
ROMA — Berlusconi ha gli occhi
gonfi di lacrime, quando sul sagrato
cerca il celebrante, si china a baciar-
gli l’anello, gli stringe entrambe le
mani e ripete: «Molte grazie. Grazie
per le sue parole. Mi hanno molto
colpito».
«Massimiliano, sei stato un uomo
determinante. Un pacificatore» ha
detto il vescovo Vincenzo Pelvi, ordi-
nario militare per l’Italia, rivolgendo-
si direttamente al caporalmaggiore
scelto Massimiliano Randino, chiu-
so dentro il legno. Un’omelia porta
con voce agnellata e forte accento
campano, non esattamente nei cano-
ni della diretta tv, che però ha dato
chiara l’impronta della cerimonia e
della giornata.
Sei anni fa, in questa stessa basili-
ca di San Paolo fuori le Mura, ai fune-
rali dei caduti di Nassiriya l’allora ca-
po dei vescovi italiani, il cardinale
Ruini, tenne un’omelia politica. A
un paese spaccato sull’intervento in
Iraq, con metà del Parlamento che
chiedeva il ritiro e i pacifisti nelle
piazze, Ruini disse che «noi fronteg-
geremo i terroristi e non fuggire-
mo»: la Chiesa non solo benediceva
la missione, ma arbitrava il dibattito
su pace e guerra. E le bare con il tri-
colore — diciannove, mai così nu-
merose nella storia repubblicana —,
accanto al drappello di feriti con le
bende e le stampelle, segnavano l’ec-
L’iniziativa
cezionalità dell’avvenimento, enfa-
tizzata da una grande partecipazio-
ne popolare. Uno choc.
I funerali dei caduti di Nassiriya
furono concelebrati dall’allora ordi-
nario militare Bagnasco, poi divenu-
to capo della Cei. Che però ieri non
c’era. Come non c’era il segretario di
Stato Bertone, che aveva celebrato i
funerali dell’Aquila; ieri ha mandato
un telegramma a nome del Papa, in
cui si nomina senza reticenze la lot-
ta al «terrorismo». E le bare erano
dolorosamente molte, ma non da im-
pedire al celebrante di rivolgersi ai
caduti uno per uno, chiamandoli
per nome, coinvolgendo i familiari.
«Antonio, tu ci parli di un’Italia più
coraggiosa, più generosa, più buo-
na. Ecco la vocazione che lasci come
una fiaccola al tuo piccolo Martin»,
che è qui dietro la bara del padre.
«Nessuno è eroe da solo, ognuno lo
è con la sua famiglia, con la sua pa-
tria. Giandomenico, tu eri vicino al-
la gente afghana, portavi la pace
evangelica che è amore degli ultimi
e spirito di sacrificio». «Matteo, mi
hanno detto della tua compassio-
ne», «Davide, tu interrogavi il tuo
cappellano sulla certezza dell’aldi-
là», «Roberto, tu hai difeso il tuo pic-
colo Simone e l’umanità intera...».
Non c’è distacco ma consapevo-
lezza: il prestigio dell’esercito non è
mai stato così alto, proprio perché è
Funerali
di Stato
In alto a
sinistra,
l’abbraccio tra
due parà alla
fine della
cerimonia alla
Basilica di San
Paolo fuori le
Mura; e la
famiglia di
Giandomenico
Pistonami: il
padre indossa
la divisa del
figlio
(Getty/Giorgio
Cosulich;
Massimo Di
Vita)
Con il Corriere
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1) attraverso
CartaSi, Visa,
MasterCard, American Express
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di Kabul». Iban: IT11 U030 6905
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numero 46299. Con ogni Sms si
invia un euro (fino al 2 ottobre, il
servizio è riservato ai clienti Wind)
Tra i militari «A piangere in chiesa potevano essere le nostre famiglie»
Martin
Il figlio di 7 anni
di Antonio
Fortunato
accarezza la
bara del padre
(Ansa/Alessan-
dro Di Meo). A
sinistra, Martin
accanto al
deputato del
Pdl Gianfranco
Paglia, ex parà
ferito in Somalia
(Aldo Liverani)
I soldati muti
davanti alla tv
nella base di Kabul
la capitale afghana. Ci sono le palazzi-
ne con le camerate, piccoli negozi, gli
uffici, le palestre. «Davanti a ogni tele-
visore del campo s’è radunato un
gruppetto di ragazzi», racconta un uf-
ficiale. Nella sala ricreativa più gran-
de sono in cinquanta. Pareti bianche
di cemento, due delle quattro finestre
oscurate da pesanti tende blu, quattro
divani di pelle nera,due di velluto bei-
ge, tante sedie di plastica rossa, tutte
occupate. Nessuno parla. Spiegano:
«Sai che gli altri si portano dentro le
stesse cose che senti tu, che motivo
c’è di chiedersi come va?». Occhi fissi
sulle immagini delle bare, sulle ulti-
me benedizioni. Fotogrammi lontani.
L’ultimo saluto ai morti, il «loro» salu-
to, i ragazzi della Folgore l’hanno fat-
to qui sabato scorso, prima che il
C-130 ripartisse con i feretri verso
l’Italia. Le lacrime sono a Roma, qui a
Kabul le brutte sensazioni sono tutte
dentro, come stratificate sotto le divi-
se. «Io non lo so proprio quando mi
tornerà il buonumore», dice il capo-
ral maggiore Di Marino.
Lui quei ragazzi li conosceva tutti e
DA UNO DEI NOSTRI INVIATI
dri, fratelli, figli, che piangono nella
basilica di San Paolo. I militari di
Camp Invicta guardano in silenzio. E
il primo caporal maggiore Fabio Di
Marino dice quello che devono aver
pensato in molti: «Mi si è stretto il
cuore, al posto di quelle persone di-
sperate avrebbe potuto esserci la mia
famiglia, la mia bambina che ha due
anni». Le immagini da Roma arrivano
quando a Kabul sono passate le due
del pomeriggio.
Camp Invicta è come una città in
miniatura fortificata alla periferia del-
con il tenente Fortunato, che era sul
Lince distrutto dal tritolo, ha lavorato
fianco a fianco da quando è iniziata la
sua missione, il 26 aprile scorso. Era-
no loro due nell’ufficio «movimenti e
organizzazione» del gruppo «Sorci
verdi». Gestivano le scorte alle perso-
ne e ai materiali. «Continuo a entrare
in quell’ufficio e a fare il mio lavoro
— spiega Di Marino — con più atten-
zione e più professionalità di prima,
lo devo altenente». Continuare a lavo-
rare al meglio non è un impegno reto-
rico, ma un «segno vero di rispetto,
un tributo». Anche un modo per tene-
re a bada i cattivi pensieri che salgo-
no la sera, a vedere quelle sei brande
vuote. Alcuni parà, anche oggi, sono
fuori in missione di ricognizione. A
quattro giorni dall’attentato, è tempo
di una fierezza un po’ malinconica, di
un senso di appartenenza che si raf-
forza. Lo dice il luogotenente Raffaele
Cappai, 54 anni: «Per me non ci sono
più dei figli. Andiamo avanti a testa
alta, anche nel loro ricordo».
Alla fine del collegamento da Ro-
ma, su Kabul il sole è già basso. I Lin-
ce e gli altri mezzi sono parcheggiati
uno accanto all’altro, sotto tettoie scu-
re. La «Taverna sorcio verde», quella
del gruppo dei ragazzi morti, stasera
resta deserta. Una decina di soldati fa
jogging intorno alle palazzine della
base, corrono da soli, con l’iPod nelle
orecchie. Qualcuno sul piazzale dice a
voce bassa: «Per me questa missione
finisce così, ci metterò dentro più for-
za di prima per i giorni che restano,
ma è finita quella mattina».
Gianni Santucci
© RIPRODUZIONE RISERVATA
KABUL — La televisione è accesa
in questo stanzone che tutti chiama-
no «tappeto volante», perché a venti
centimetri dal soffitto galleggia pro-
prio un tappeto, color rosso bruno, te-
nuto su da quattro sottili catene di fer-
ro. In tv scorrono facce. Quelle dei sei
soldati morti che fino alla settimana
scorsa nel tempo libero venivano pro-
prio qui, al «tappeto volante», per un
caffè, una partita a biliardo, una piz-
za. E poi le facce dei loro parenti, ma-
Presenti governo e opposizione. Berlusconi commosso
Bossi: «Li abbiamo mandati noi e sono tornati morti»
L’iniziativa
Il Corriere ha aperto una
sottoscrizione a favore delle
famiglie dei militari caduti in
Afghanistan. Come già era
successo nel 2003 con l’attentato di
Nassiriya, è tornato «Un aiuto
subito» per aiutare le famiglie dei
caduti e dei feriti. Il saldo, a ieri, è
di 17.263 euro
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Corriere della Sera Martedì 22 Settembre 2009
Primo Piano
3
#
Ferito A sinistra un parà rimasto ferito durante l’attentato di giovedì scorso
a Kabul parla con la parente di uno dei compagni uccisi (Ap/Pier Paolo Cito)
esposto al rischio della vita. E non
c’è assuefazione, per quanto la folla
non sia così numerosa; piuttosto,
un lutto di casa, il dolore di sei fami-
glie cui partecipa un paese intero,
con i suoi contrasti e i suoi simboli
all’apparenza confliggenti. A sini-
stra dell’altare i politici, con in terza
fila Bossi che riapre la questione del
ritiro — «li abbiamo mandati noi e
sono tornati morti» —, a destra i mi-
litari, tranne il ministro La Russa
che ripete: a Kabul si resta. Il parti-
giano dell’Anpi e il reduce di El Ala-
mein in divisa con pugnale. Berlu-
sconi seduto tra Fini e Scalfaro. Fas-
sino e Brunetta. La Bindi e Buttiglio-
ne. D’Alema e Franceschini. Gli ex
ministri della Difesa Martino e Pari-
si. Gustavo Selva e Armando Cossut-
ta. Molto intervistato l’imam di Ro-
ma. Al presidente delle comunità
ebraiche Gattegna cade la kippah,
un ufficiale si china a raccoglierla.
Composti, dignitosissimi, i fami-
liari quasi senza più lacrime, ogni ve-
dova, ogni madre abbracciata a un
sottufficiale donna. Persone sempli-
ci, con in mano la foto del marito o
del figlio; sofferenze silenziose, pic-
coli gesti d’affetto reciproco; una le-
zione per tutti. Un generale è secca-
tissimo perché il cerimoniale non
gli ha trovato posto, si attacca al tele-
fonino, «è vergognoso, io me ne va-
do». Una poliziotta che è qui per con-
to suo, senza commilitoni, i capelli
raccolti in un nastro nero, piange ap-
poggiata a una colonna.
Alle 10 del mattino, un’ora prima,
San Paolo è già piena di divise. Quat-
tro file all’esercito, tre alla marina,
tre all’aeronautica, tre ai carabinieri,
tre alla guardia di finanza, e poi alpi-
ni, granatieri, corazzieri, bersaglieri,
Il saluto delle Frecce Tricolori
Il passaggio delle Frecce Tricolori sulla basilica di San Paolo
fuori le Mura ha segnato ieri la fine dei funerali di Stato per i sei
parà della Folgore uccisi giovedì a Kabul. Le Frecce hanno
sorvolato la basilica prima in orizzontale e poi in
verticale componendo una croce.
A destra, Giorgio Napolitano, Renato Schifani,
Gianfranco Fini, Silvio Berlusconi,
Francesco Amirante e Oscar Luigi Scalfaro
L’urlo nel silenzio:
«Pace, pace subito»
L’irruzione sull’altare turba la cerimonia
carabinieri in alta uniforme, guardie
della gendarmeria vaticana. Un solo
politico, il leghista Bricolo, che deve
aver sbagliato orario. Crocerossine,
suore, Maria Pia Fanfani con meda-
glie. Un parà della Folgore con una
rosa rossa tatuata sul braccio. Rosa-
ri, ombrelli, sciabole. L’intero gover-
no, per ultimo arriva Maroni. Bersa-
ni si siede accanto a Di Pietro.
Napolitano si inchina al passag-
gio delle bare, Berlusconi va a saluta-
re i parenti, la zia del piccolo Martin
lo abbraccia, gli parla, lo abbraccia
di nuovo. Dalla lettera di san Paolo
agli Efesini: «Cercate di conservare
l’unità dello spirito per mezzo del
vincolo della pace». All’Agnus Dei,
l’irruzione del pacifista, che ha più
senso del dramma che dell’opportu-
nità, mentre lo portano via lancia un
ultimo grido strozzato, «pace subito-
oo». A conferma della permeabilità
del servizio d’ordine, uno sconosciu-
to con pettorina gialla della protezio-
ne civile, capelli lunghi, foulard, ro-
sario e crocefisso approfitta della co-
munione per avvicinarsi alla prima
fila, anziché ricevere l’ostia piega
verso sinistra, parla a lungo mani
nelle mani con Berlusconi, poi pun-
ta Napolitano che premuroso si alza,
quindi si intrattiene un poco con
Schifani ma, non trovando soddisfa-
zione, se ne va seccato. Gli unici a
non sentire il «pace subito» sono i
quattro feriti, i sopravvissuti: hanno
i timpani perforati; i medici avevano
sconsigliato la loro presenza, non so-
no stati ubbiditi. Più dietro, Aleman-
no in piedi. Frattini e Tremonti. Bril-
la sotto i riflettori l’orecchino d’oro
di Nichi Vendola. Nell’abside, gonfa-
loni con la lupa della Roma calcio e i
quattro mori della Sardegna; raccon-
ta il presidente della Provincia di Ori-
stano che in molti ancora insistono
per partire, è lo «spirito di sacrifi-
cio» di cui parla il vescovo, ma è an-
che il bisogno, la necessità di mante-
nere la famiglia. Ecco il presidente
della Lazio Lotito. Bertolaso l’unico
senza cravatta. Tremaglia in sin-
ghiozzi. Al generale è stato trovato
un posto adeguato. La poliziotta con
il nastro nero piange in silenzio.
Ma quasi nessuno nasconde la
commozione quando il tenente
Gianfranco Paglia, parlamentare, fe-
rito in Somalia, legge sulla sedia a ro-
telle la preghiera del paracadutista
— «la nostra giovane vita è tua, Si-
gnore, e se è scritto che cadiamo,
sia» — e terminate le parole solenni
chiude d’un soffio: «Grazie ragazzi».
All’uscita delle bare, passano a volo
radente le Frecce Tricolori. Sul sagra-
to le cerimonie si dividono. Il coro
dei sacerdoti continua a cantare, i ve-
terani gridano «Folgore!», Napolita-
no e gli altri politici restano in piedi
a rispettosa distanza, mentre ogni fa-
miglia si riunisce dietro alla sua ba-
ra, al suo carro funebre; l’uno si
stringe all’altro a trattenere i sin-
ghiozzi sino al tonfo del cofano, si-
no al congedo definitivo.
Aldo Cazzullo
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Le tappe
La strage
Giovedì alle 9.30
in Italia, le 12 in
Afghanistan,
un’autobomba
esplode al
passaggio di un
convoglio italiano
sulla strada
dall’aeroporto al
centro di Kabul:
sei parà uccisi,
quattro feriti.
Morti anche 15
afghani
In Italia
Le sei salme
sono arrivate
all’aeroporto di
Ciampino
domenica
scorsa, accolti
da Napolitano,
dai presidenti di
Camera e
Senato e da altre
autorità
I funerali
Giornata di lutto
nazionale e
funerali solenni
di Stato, ieri, per
i sei caduti della
Folgore. Le
esequie sono
state celebrate
nella basilica di
San Paolo fuori
le Mura a Roma
ROMA — Era nascosto die-
tro a una colonna, uno di que-
sti cilindri di marmo che qui,
nella basilica di San Paolo, paio-
no particolarmente massicci.
Lo vediamo venire fuori men-
tre i solenni funerali volgono
al termine, e tutti ci stiamo
scambiando un segno di pace,
una stretta di mano, un sorri-
so. Ma lui ha gli occhi come spi-
ritati, con due balzi è sul palco,
innanzi al microfono. Urla for-
te, nervoso, eccitato: «Pace su-
bito! Pace subito! Pace subi-
to!». Poi capiremo chi è, e qual
è il suo passato — lo portano
via in quattro, alzandolo di pe-
so. Ora, intanto, è però meglio
uscire dalla basilica e andare a
osservare la scena esterna, ora
che la cerimonia è quasi conclu-
sa e i feretri, portati in spalla,
stanno per tornare a sfilare tra
la folla dietro alle transenne e
innanzi ai reparti schierati.
Sono minuti lunghi e strug-
genti. Il corteo funebre avanza
a passi lenti, lentissimi. Le ve-
dove e le fidanzate, i papà e le
mamme dei parà morti a Kabul
avanzano a capo chino, trasci-
nando dolore e dignità, rabbia
e stupore — è soprattutto que-
sto che si coglie nei loro sguar-
di, come una sorta di increduli-
tà. Non sono pochi quelli che,
quasi per rendersi conto di
non attraversare un incubo, si
guardano intorno. Osservano
che ogni militare è sull’attenti.
E che sono molti coloro che
non trattengono le lacrime. C’è
un generale che singhiozza. Un
carabiniere che tira su con il na-
so. Poi, la gente che applaude;
e il 186˚ reggimento paracadu-
tisti Folgore, 5˚ battaglione El
Alamein, che è immobile, pre-
sentando le armi.
Il colpo d’occhio è emozio-
nante, commovente. E ormai
sono qui, a capo chino, prova-
ti, commossi, anche i politici. Il
loro plotoncino segue i familia-
ri delle vittime, tutti insieme
— il presidente Napolitano e
poi La Russa, Fini, Schifani, e
ancora la Bindi, Gasparri, il sin-
A questo punto parte qual-
che, flebile, applauso. Poi però
gli applausi di consenso cresco-
no. Succede che un ragazzo, un
parà palesemente in congedo,
con il basco della Folgore e il
giubbotto jeans, grida: «I tale-
bani fateli marcire nel loro de-
stino!». Si agitano gli uomini
delle scorte. Ma le grida giungo-
no da persone con gli occhi
gonfi di lacrime. Non si tratta
di provocatori. Niente a che ve-
dere con quel signore che pri-
ma, avvicinatosi al microfono,
ha cominciato a
gridare: «Pace
subito!». Uno
slogan, una ri-
chiesta pesante
in una cerimo-
nia così tragica.
Si chiama An-
tonio Cianci, ha
57 anni, e lo por-
tano via mentre
lui si dimena,
mulina pugni,
digrigna i denti.
Ha precedenti per furto e rapi-
na. Nel 1990 fece irruzione sul
palco del Festival di Sanremo,
poi su quello del Costanzo
Show, poi interruppe pure un
concerto di Madonna, a Barcel-
lona.
Ora, mentre lo identificano,
giura di essere il papà di un mi-
litare italiano in missione al-
l’estero. Ridacchia. Offre cara-
melle alla menta ai carabinieri.
«Buone, eh?».
Fabrizio Roncone
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Rabbia L’uomo che ha gridato ai funerali (Ap)
daco Alemanno — tutti insie-
me avanzano verso il cancello
dell’uscita. Ma quando sul can-
cello compare il volto teso di
Silvio Berlusconi, ecco è pro-
prio adesso che parte il primo
urlo. La banda musicale ha ces-
sato la marcia funebre. I parà,
per un momento, hanno cessa-
to di gridare, come fanno: «Fol-
gore!». C’è una voce nuova, net-
ta: «Adesso ritirateli!».
Applausi, facce che annuisco-
no. Voce di donna. «Quanti
morti ancora, eh?».
La nostra vita è tua, Signore.
Se è scritto che cadiamo, sia
Preghiera dei parà
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Nella basilica Al passaggio delle bare il grido: «Ritirateli»
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Martedì 22 Settembre 2009 Corriere della Sera
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Corriere della Sera Martedì 22 Settembre 2009
Primo Piano
5
La strage Lutto nazionale
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L’idea che, per polemica politica, alcuni docenti abbiano mancato di
rispetto a chi ha dato la propria vita riempie di amarezza Mariastella Gelmini
«No da decine di scuole
Stampa estera
al minuto di silenzio»
La Gelmini si scusa. Una preside: solo retorica
ROMA — La decisione era
stata presa venerdì scorso:
un minuto di silenzio in tutte
le scuole per ricordare i sei
militari italiani uccisi in Af-
ghanistan. Ma ieri non tutti
hanno seguito l’invito arriva-
to via circolare dal ministero
dell’Istruzione. In alcuni casi
sono stati i genitori degli stu-
denti a protestare, telefonan-
do agli uffici scolastici regio-
nali oppure allo stesso mini-
stero della Pubblica istruzio-
ne dove si parla di «alcune de-
cine di segnalazioni». Arrive-
rebbero, sempre secondo il
ministero, soprattutto dalle
regioni del Nord, Lombardia,
Veneto, Piemonte e Liguria.
C’è anche chi rivendica
apertamente questa scelta, co-
me la preside di una scuola
elementare di Roma, la Iqbal
Masih, nel quartiere popolare
Casilino, 30 per cento di stu-
denti stranieri. «In questo
momento — dice Simonetta
Salacone, candidata non elet-
ta alle ultime europee per Si-
nistra e libertà, il partito di Ni-
chi Vendola — sarebbe stata
solo retorica. Se proprio va os-
servato un minuto di silenzio
deve essere dedicato a tutte
le vittime che muoiono sul
posto di lavoro e del resto an-
che quei soldati stavano fa-
cendo il loro lavoro». La sua
scuola è intitolata a un ragaz-
Lo stop
La dirigente
della «Iqbal
Masih»
di Roma:
meglio
dedicarlo
ai morti
sul lavoro
zino pachistano ucciso per es-
sersi battuto contro il lavoro
minorile. Un anno fa l’edifi-
cio venne ricoperto di drappi
neri per protesta contro la ri-
forma Gelmini, un’iniziativa
poi imitata in tutta Italia. In-
somma, la preside conosce i
meccanismi dell’informazio-
ne e della politica e adesso di-
fende la sua decisione: «Non
è stata una scelta polemica
ma pedagogica. In ogni caso
una vera missione di pace va
fatta con dottori e insegnanti
non con i militari». Niente mi-
nuto di silenzio in altre due
elementari romane: la Piero
Maffi dove, raccontano i geni-
tori di alcuni alunni, «questi
inviti non vengono mai ri-
spettati perché capita che
non siano condivisi da tutti i
docenti» e nella Guglielmo
Marconi dove, spiegano, la
«circolare del ministero non
è mai arrivata».
«Mi sento di chiedere scu-
sa alle famiglie dei nostri sol-
dati» dice il ministro Maria-
stella Gelmini. «L’idea che,
per motivi di polemica politi-
ca, alcuni docenti e dirigenti
scolastici abbiano voluto deli-
beratamente mancare di ri-
spetto a chi ha dato la propria
vita per portare pace e sicu-
rezza nel mondo — aggiunge
— è una cosa che riempie di
amarezza». Parole alle quali
la preside Salacone risponde
polemica: «Le scuole che han-
no deciso di non osservare il
minuto di silenzio hanno al-
trettanto cordoglio nei con-
fronti delle famiglie dei sei
militari uccisi almeno quanto
il ministro Gelmini, ma inve-
ce di buttarla in retorica lo
manifestano nel silenzio per-
sonale e nella riflessione».
Nel quartiere della scuola, ie-
ri sera, sono spuntati una de-
cina di manifesti con una
scritta a mano: «La Iqbal Ma-
sih non rispetta i soldati italia-
ni». La preside ha raccontato
di aver ricevuto una telefona-
ta anonima di minacce.
Lorenzo Salvia
© RIPRODUZIONE RISERVATA
L’omaggio
«Triste ritorno a casa»: i
soldati trasportano le bare
avvolte dal tricolore
L’aeroporto
«L’ultimo viaggio in Italia»:
grande foto in prima pagina
con l’arrivo a Ciampino
Scoperto l’autore di «-6»
È stato identificato l’autore della scritta
«meno sei» (riferita ai soldati uccisi, foto ),
apparsa a Milano: 23 anni, incensurato,
frequentatore di ambienti anarchici
Le bare
Tricolore Bandiere a lutto alla scuola frequentata dal figlio del tenente Fortunato
«I soldati uccisi restituiti
all’Italia», il titolo a pagina
5 con una foto delle bare
Inchiesta La vettura sarebbe stata quasi ferma. Karzai commosso davanti alla foto del piccolo Simone
Ipotesi sull’autobomba: era senza kamikaze
tier generale Isaf, il 15 agosto, o sulla
Jalalabad road, quattro giorni dopo, op-
pure ancora all’entrata della zona mili-
tare dell’aeroporto l’8 settembre. Ieri
anche Hamid Karzai ha manifestato vi-
va preoccupazione per questa catena
di violenze.
Incontrando il rappresentate del-
l’Unione Europea nel Paese, l’amba-
sciatore italiano Ettore Sequi, il presi-
dente afghano ha espresso le sue con-
doglianze per le vittime italiane. E si è
commosso quando Sequi gli ha mo-
strato la foto del piccolo Simone, fi-
glio di due anni del parà ucciso Rober-
to Valente, che all’aeroporto saluta mi-
litarmente la bara del padre. «Dietro
ogni morto c’è una famiglia—ha det-
to —. Italiani, afghani, cittadini della
coalizione alleata, siamo tutti fratelli
nel lutto».
DAL NOSTRO INVIATO
contingente Folgore a Kabul, colonnel-
lo Aldo Zizzo. La tesi della vettura-bom-
ba ferma potrebbe rafforzare la pista
dell’«attacco complesso»: prima lo
scoppio e poi la seconda fase dell’imbo-
scata, con gli spari da distanza ravvici-
nata per cercare di uccidere i sopravvis-
suti.
Sembra si stia ancora cercando di in-
dividuare, tra i resti di membra umane
raccolti sul posto, quelli di un possibi-
le attentatore. «Abbiamo raccolto un
paio di gambe maschili, tranciate di
netto dal tronco, a circa 20 metri dal
cratere. Ma appaiono troppo intatte
per essere quelle di un eventuale ka-
mikaze. La vettura si è letteralmente
polverizzata. Gli unici pezzi ancora rela-
tivamente interi sono soltanto quelli
del motore», specificano alte fonti
Isaf-Nato coinvolte nell’inchiesta. Lo
studio della dinamica dell’attentato è
utile per cercare di capire gli sviluppi
della tensione nella capitale. Gli addet-
ti alla sicurezza ai vertici della coalizio-
ne alleata prevedono infatti un autun-
no difficilissimo. Gli ultimi due mesi
hanno visto la crescita del 200% degli
attentati rispetto a giugno e maggio.
Solo durante le prime due settimane di
settembre sarebbero stati assassinati
una trentina di poliziotti e militari af-
ghani nella regione di Kabul. Senza
neppure parlare dell’impennata espo-
nenziale del numero di morti tra i ran-
ghi Isaf nel Paese a partire dall’inizio
dell’estate, specie americani ed inglesi.
Una delle piste studiate è che possa
esservi un collegamento diretto tra i
maggiori fatti di sangue a Kabul che
hanno caratterizzato la fase politica del-
le presidenziali il 20 agosto. Si sta cer-
cando di capire, per esempio, se il tipo
di esplosivo utilizzato giovedì scorso
sia simile a quello usato contro il quar-
KABUL — I primi risultati delle in-
dagini sull’attentato contro il convo-
glio italiano di Isaf fanno ritenere che
l’auto carica di esplosivo fosse pratica-
mente ferma. «Dallo studio sul cratere
rimasto nell’asfalto si può dedurre che
il veicolo fosse immobile, o comunque
andasse molto lentamente. È un crate-
re quasi perfettamente quadrato, di cir-
ca due metri per due. Non si può anco-
ra definire se l’auto fosse parcheggiata
da tempo, magari vuota, e l’esplosivo
innescato all’interno. Oppure un ka-
mikaze fosse al volante, in attesa dei
primi mezzi Isaf che capitassero a ti-
ro», ci ha dichiarato il comandante del
Il bimbo
«Italia in lutto»: il rientro a
casa delle salme con una
foto del piccolo Simone
Gli accertamenti
Finora non sono stati trovati
resti del possibile attentatore
Analisi sull’esplosivo, forse è
lo stesso usato in altre stragi
Lorenzo Cremonesi
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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