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Microsoft Word - dispense polifonia
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1. DEFINIZIONE DI POLIFONIA
Polifonia in senso lato significa canto simultaneo di due o più voci
diverse. In senso stretto polifonia indica soltanto la simultaneità di melodie
che seguono ciascuna un proprio decorso ritmico; il caso invece di melodie
simultanee dal decorso ritmico identico, tali cioè che a ogni nota dell'una
corrisponda contemporaneamente una nota delle altre, è detto omoritmia.
La tecnica compositiva basata sulla coesistenza di più voci che
procedono sia in omoritmia sia con percorsi ritmici individuali, sarà
denominata contrappunto (da punctus contra punctum = nota contro
nota).
La prevalenza di forme polifoniche e del linguaggio
contrappuntistico rispetto alle forme monodiche caratterizza il periodo di
storia della musica che va dal IX al XVI secolo.
Possiamo suddividere questo ampio periodo in diverse fasi
evolutive:
- gli inizi (IX-prima metà del XII sec.);
- l'Ars antiqua (seconda metà del XII-XIII secolo);
- l'Ars nova (XIV secolo);
- l'età fiamminga (XV-inizi del XVI sec.);
- la polifonia cinquecentesca (XVI secolo).
- Monteverdi tra Rinascimento e Barocco
2. GLI INIZI (IX secolo-prima metà del secolo XII)
2.1 Origini e prime fonti teoriche
Non si può stabilire con precisione il luogo e la data di nascita e le
modalità di affermazione della polifonia. Gli studi etnomusicologici rivelano
l'esistenza di forme di polifonia in molte culture musicali di tradizione orale:
è lecito quindi supporre che la polifonia in Occidente sia precedente alle
prime fonti documentarie esistenti, che provengono dai monasteri
dell'Impero franco dell'età carolingia. Più precisamente, a partire dalla fine
del secolo IX, accanto alla struttura e alle forme monodiche, la musica colta
occidentale iniziò a sperimentare, ma solo successivamente a registrare
graficamente, la creazione di strutture e forme polifoniche.
Dal IX al XII secolo la polifonia consisteva in una pratica ancora
improvvisata, e non scritta, volta ad arricchire e ampliare il repertorio
liturgico con aggiunte di qualche elemento nuovo; dunque questa primitiva
polifonia può essere assimilata, insieme ai tropi e alle sequenze, a quel
rinnovamento musicale provocato, nell'epoca della rinascenza carolingia,
dalla sistemazione del repertorio gregoriano e dalla conseguente sua
intangibilità e cristallizzazione anche attraverso la nuova scrittura
neumatica: l'intagibilità del canto gregoriano scaturiva dalla dignità sacrale
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che proprio nell'età carolingia gli proveniva dall'essere stato attribuito
all'opera di Gregorio Magno.
Fino al XII secolo sono dunque scarse le tracce nei manoscritti
musicali di esempi di polifonia. La prima documentazione riguardante
questa pratica proviene da trattati teorici, anche se la descrizione delle
forme di improvvisazione polifonica è spesso considerata dal punto di vista
del teorico dell'ars musica, piuttosto che da quello del musicista pratico. I
primi esempi di polifonia scritta che ci sono pervenuti sono contenuti in un
trattato anonimo della fine del IX secolo intitolato Musica Enchiriadis
(Manuale di musica), erroneamente attribuito a Hucbald del monastero di
Saint Amand, ma comunque proveniente proprio da quel monastero della
Francia settentrionale. In questo trattato, e in un suo commentario
contemporaneo intitolato Scholia Enchiriadis, si descrivono le regole di
questa pratica polifonica improvvisata, chiamata organum o diafonia:
consiste nel raddoppiare (contrappuntare raddoppiando), il canto
gregoriano, detto vox principalis, con una seconda voce inferiore, più
bassa, detta vox organalis, posta alla costante distanza di una quarta, una
quinta o un'ottava; ambedue le voci possono essere singolarmente o
entrambe raddoppiate all'ottava superiore o inferiore.
Esempio 1a
Tu patris sempiternus, organum oarallelo da Musica Enchiriadis, in Gerbert, Scriptores cit.
(v. bibliografia), tomo I, p. 164-171
esempio 1b
Notazione dasiana utilizzata in Musica Enchiriadis
esempio 1c
trascrizione in notazione moderna
Nello stesso trattato viene descritto un altro tipo di organum, per moto
obliquo, in cui le due voci, per evitare gli incontri intervallari di quarta
eccedente o di quinta diminuita (definiti allora «diabolus in musica»),
partono all'unisono, successivamente la sola vox principalis si muove verso
l'acuto fino a raggiungere l'intervallo di quarta rispetto alla vox organalis
(che ribatte la stessa nota), e procede poi con lei a quarte parallele; nella
cadenza finale le due voci ritornano all'unisono.
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Esempio 2a
Rex coeli Domine, da Musica Enchiriadis, in Gerbert, Scriptores cit. (v. bibliografia), tomo I,
p. 169
esempio 2b
Trascrizione in notazione moderna
In questi termini, la primitiva polifonia non è altro che una forma di
tropatura musicale, che amplifica il discorso rispettando la lezione originale
del canto liturgico. Tuttavia questa pratica condusse gradatamente alla
perdita della tradizione ritmica del canto gregoriano. Infatti, se nella
monodia liturgica tradizionale il canto si adeguava al ritmo delle parole
dando luogo a una ricca varietà ritmica (il cosiddetto ritmo oratorio), nella
trasformazione da monodia a polifonia si dovette rinunciare al ritmo
articolato della monodia e adottare un ritmo più uniforme e maestoso, per
poter controllare così il procedere contemporaneo delle due voci, nota
contro nota:
Sic enim duobus aut pluribus in unum canendo modesta dumtaxat et concordi morositate,
quod suum est huius meli, videbis nasci suavem ex hac sonorum commixtione concentum
[Così cantando insieme in due o più, con lentezza misurata e concorde, il che è la
caratteristica principale di questo stile, vedrai che da questa mescolanza di voci nascerà
un bel 'concento'].
(Musica Enchiriadis, in Gerbert, cit., t. I, p.166)
Anche Guido d'Arezzo parla della polifonia nel suo trattato
intitolato Micrologus (Piccola trattazione), databile tra il 1026 e il 1028.
Egli riprende il procedimento per moto obliquo già trattato in Musica
Enchiriadis, e propone una serie di primitive cadenze armoniche (dette
occursus=incontro) in cui le due voci che procedono a distanza di quarta,
prima di concludere raggiungendo l'unisono, si incontrano, procedendo per
gradi congiunti, sull' intervallo di terza, e poi di seconda, la cui dissonanza
rende ancora più gradevole la consonanza finale.
La più antica e importante raccolta di vere e proprie fonti musicali
riguardanti la pratica polifonica, e non solo la teoria, è contenuta in due
manoscritti dell'XI secolo noti sotto il nome di «Tropario di Winchester»,
consistenti in un repertorio di più di 150 tropi in forma di organum a due
voci, in uso presso quella cattedrale. La notazione è neumatica
adiastematica, per cui è difficile la sua trascrizione in notazione moderna:
tuttavia la presenza di alcune melodie in fonti più recenti e in una
notazione più precisa, ne permette una trascrizione attendibile.
Nell'XI secolo la struttura polifonica non si applicava a tutta la
liturgia, ma soprattutto alle sezioni tropate dell'Ordinario della messa
(Kyrie, Gloria e Benedicamus Domino), e soprattutto del Proprio (in
particolare Graduali, Alleluia, Tratti e Sequenze) oltre che nei responsori
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dell'Ufficio. In queste parti della liturgia venivano però rese polifoniche solo
le sezioni che nell'originario repertorio monodico venivano cantate dai
solisti. Nell'esecuzione si alternavano quindi sezioni polifoniche a sezioni
monodiche: queste ultime venivano cantate da tutto il coro all'unisono, e
quelle polifoniche, più difficili, eseguite da solisti.
Procedendo nella evoluzione della polifonia, bisogna citare alla fine
dell'XI secolo altri due importanti trattati: Ad organum faciendum (Per fare
un organum), databile intorno al 1100, proveniente da Laon e conservato
presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano; l'altro trattato è attribuito a
Johannes Afflighemensis, francese o fiammingo, che dedicò la sua opera
all'abate del monastero di Afflighem, vicino Bruxelles.
I due trattati codificano il moto contrario tra le due voci, che ora
invertono la loro posizione: la vox principalis è posta nella parte inferiore (e
lì rimarrà durante tutto il Medioevo), la vox organalis, è posta nella parte
superiore, (dunque in maggiore evidenza), si emancipa sempre più dalla
melodia liturgica preesistente, e mostra una sua propria originale
configurazione. A volte le due voci tendono, nel procedere, a incrociarsi,
ribaltando la loro posizione, la qual cosa le rende reciprocamente più
autonome. Accanto agli intervalli permessi - di unisono, quarta, quinta e
ottava, ritenuti consonanze perfette -, compaiono anche intervalli
imperfetti (terza, sesta) e addirittura intervalli dissonanti come la seconda.
All'inizio del XII secolo si sviluppa un nuovo tipo di organum, detto
melismatico, in cui le due voci non procedono nota contro nota (stile
chiamato dai teorici dell'epoca discanto), ma ad ogni nota del basso ne
corrispondono diverse nella voce superiore. Questo stile, detto appunto
melismatico, pone la melodia gregoriana preesistente al basso come
sostegno della voce superiore che invece intona intere frasi melodiche di
lunghezze diverse, dette melismi o fioriture.
La melodia gregoriana, in questa sua funzione di sostegno dei melismi della
voce superiore, viene a perdere la lezione ritmica originaria, e si trasforma
in una sequenza di note di lunga durata. Viene chiamata tenor (dal latino
tenere), termine che rimase a designare la voce più grave di una
composizione polifonica fino a circa la metà del XV secolo.
2.2 Prime fonti musicali
Con la pratica dell'organum melismatico venne superata la fase
dell'improvvisazione polifonica e si rese necessario registrare graficamente
le composizioni, data la loro complessità; per questa ragione a partire da
questo periodo aumenta il numero delle fonti musicali pervenute. Le più
importanti provengono dai due principali centri di diffusione del nuovo tipo
di organum: il monastero di Santiago de Compostela nella Galizia, (regione
situata a nord-ovest della Spagna), e l'Abbazia di S. Marziale di Limoges,
nella Francia centro-meridionale.
Oltre all'organum melismatico, nel repertorio di Santiago de
Compostela troviamo anche la forma del conductus, canto processionale
dallo stile diverso. A differenza degli organa, i conductus polifonici non
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sono basati su un tenor preesistente appartenente al repertorio
gregoriano, ma su un tenor di nuova invenzione; entrambe le voci che
formano il conductus sono dunque originali (di libera invenzione),
procedono con un andamento omoritmico, e si avvalgono di un testo in
versi. Fra i conductus di Santiago de Compostela è da segnalare la più
antica composizione a tre voci, Congaudeant catholici, in cui le due voci
inferiori procedono omoritmicamente, e la terza voce, quella superiore, si
muove maggiormente rispetto alle altre, come in un organum melismatico.
3. ARS ANTIQUA (seconda metà del XII secolo- XIII secolo)
3.1 La scuola di Notre-Dame. La notazione
Tra la metà del XII e la metà del XIV secolo il più importante centro
dell'evoluzione della musica polifonica fu la scuola sorta presso la
cattedrale di Notre-Dame a Parigi.
Il XII secolo vide il nascere di Università a Bologna, Parigi, Montpellier,
Oxford, Salerno, e in esse la musica costituiva una materia accademica
importante perché, insieme all'aritmetica, la geometria e l'astronomia,
formava il Quadrivium, la sezione superiore delle sette arti liberali.
L'Università di Parigi, che occupava una posizione di preminenza nel
Medioevo, si sviluppò all'ombra della grande cattedrale di Notre-Dame, la
costruzione della quale era iniziata nel 1163; la stretta associazione
esistente a Parigi tra Chiesa e Ateneo, favorì naturalmente lo sviluppo della
musica religiosa.
In questo ambito, come vedremo, per la prima volta nella storia
della musica occidentale appaiono i nomi di due compositori, che escono
così dall'anonimato medievale.
Il progredire della composizione polifonica impose ai musicisti di Notre-
Dame di corredare la notazione di un significato non solo diastematico, ma
anche metrico, del quale era priva, e dunque di conferirle la capacità di
esprimere non solo l'altezza dei suoni, ma anche la loro durata.
Prima di illustrare la soluzione data al problema ritmico nell'ambito della
Scuola di Notre-Dame è necessaria una breve digressione sulle principali
tappe nella storia delle notazioni medievali nell'ambito della musica
monodica. In essa il problema diastematico fu risolto relativamente tardi,
quando si fece la scoperta fondamentale di ancorare un suono fisso a un
punto fisso (dapprima una linea a secco, poi colorata con inchiostro rosso
per il fa e giallo per il do), per esprimere dei suoni specifici; venne
codificato poi il rigo musicale comprendente quattro linee inchiostrate, il
tetragramma, all'inizio del quale, una o due lettere alfabetiche (C = do e F
= fa) davano la chiave di lettura. Le note poste sulle linee o negli spazi
avevano l'aspetto grafico dei neumi quadrati di uno o più suoni ciascuno.
Nacque così la notazione diastematica, che risolveva definitivamente il
problema di indicare l'altezza dei suoni.
Quanto appena illustrato venne utilizzato dalla scuola di Notre-
Dame, che si trovava comunque a dover risolvere il problema della
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Zgłoś jeśli naruszono regulamin